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Viaggi e scoperte

Yacht: perché il vero lusso è l’avventura

Un po’ di storia: una passione nata…in esilio

Un cambio armadio olfattivo

Il mondo della nautica da diporto evoca da sempre scenari di lusso idilliaco, appannaggio di magnati e celebrità. Pochi però sanno che l’origine della parola yacht, ormai a pieno titolo facente parte della lingua italiana, è da ricercarsi in precise e inconsuete circostanze storiche. Nel XVII secolo Carlo II d’Inghilterra si trovò a doversi recare in esilio in Olanda per sfuggire alla rivoluzione portata da Oliver Cromwell; durante il tempo trascorso nei Paesi Bassi il sovrano britannico ebbe modo di conoscere e apprezzare gli “Jaght”, imbarcazioni agili e veloci, utilizzate dagli olandesi per dare la caccia ai pirati nelle acque basse e insidiose del Paese dei tulipani. Con il ritorno in Inghilterra Carlo II portò con sé la moda della nuova imbarcazione (il cui nome venne anglicizzato in yacht), che in un primo periodo rimase appannaggio dell’aristocrazia e divenne un segno di distinzione.

Dalla vela al vapore, dalla competizione al comfort

Con il passare degli anni la moda dello yacht si diffuse anche al di fuori dell’ambito nobiliare: negli Stati Uniti i primi milionari fecero a gara per farsi costruire imbarcazioni di questo tipo, e un po’ ovunque cominciarono a costituirsi degli yacht club per organizzare competizioni tra i possessori. Non scordiamoci che i primi yacht erano imbarcazioni che avevano nella velocità e nella maneggevolezza le loro caratteristiche di punta. Con il tempo, però, la funzione prettamente competitiva degli yacht perse d’importanza, e se barche propriamente da regata continuarono a essere costruite, i magnati cominciarono gradualmente a preferire la comodità all’aspetto sportivo.

L’avvento del vapore portò alla costruzione di grandi panfili con scafo in ferro, di dimensioni sempre più sontuose, fino ad arrivare a oltre novanta metri. Tra la fine dell’800 e l’inizio del ventesimo secolo gli yacht vennero inoltre sempre più dotati di comfort, fino a vere e proprie stravaganze, come nel caso del panfilo di James Gordon Bennett Jr., che aveva addirittura una mucca a bordo per rifornire di latte fresco i passeggeri.

I segreti degli yacht: confessioni di un capo barca

Se i ricchi banchieri di fine ‘800 non lesinavano sui lussi, i magnati di oggi non sono certamente da meno per quanto riguarda gli optional di cui dotare i loro yacht. Ce ne parla Yari, capo barca in un cantiere navale di Livorno, specializzato nella costruzione di queste imbarcazioni: «Alcuni clienti cercano di riprodurre nello yacht l’arredo domestico: un imprenditore ha fatto allestire tutti gli interni in rovere per riprodurre quelli dell’abitazione. Un cliente russo aveva fatto costruire una sala con pavimento flottante, in grado di trasformarsi all’occorrenza in piscina o sala da ballo; lo yacht aveva cinema, sauna e impianto degno di un megaconcerto. Non mancano però clienti più attenti alle attrazioni culturali: mi è capitato di lavorare a imbarcazioni che potevano vantare la presenza di un Monet, o di una chitarra che sarebbe addirittura appartenuta a Jimi Hendrix». 

Un sogno proibito: dominare il mare

La costruzione di simili imbarcazioni, e quindi il loro acquisto, non possono essere totalmente spiegate solo secondo la logica dello status symbol. Per quanto possedere uno yacht dia lustro e sia in alcuni casi un’esibizione di ricchezza, sembra permanere qualcosa di romantico e anche avventuroso nella decisione di porre in mare opere così costose e curate. L’attenzione al dettaglio, e i lunghi processi artigianali che portano alla realizzazione di queste imbarcazioni, suggeriscono una profonda passione per la vita di mare: un rapimento che si esprime al meglio in queste grandi opere di tecnica, nautica e design.

Il nostro Yari ha un’idea in merito: «Quando finalmente mettiamo in mare questi mostri ti senti davvero in grado di essere padrone degli elementi. Ma dominare il mare è impossibile: esso è vita, si rinnova sempre, mentre noi siamo solo di passaggio. Il fascino della navigazione, a ben vedere, è tutto qui».

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Fonte: Shutterstock
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