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Gente di mare

Piero Ciampi: il cantautore “maledetto” venuto dal mare

Un artista quasi dimenticato

Piero Ciampi è stato, secondo il parere di molti critici e di chi si sia imbattuto nella sua musica, uno dei migliori cantautori italiani degli anni ’60 e ’70. Livornese e quindi avvicinabile, per collocazione geografica e frequentazioni, alla cosiddetta “scuola genovese”, di cui fecero parte mostri sacri come De Andrè, Tenco e Paoli, ha sempre mostrato una propria irriducibile originalità che lo ha collocato al di fuori di ogni classificazione.

La sua carriera è stata apparentemente modesta, segnata da pochi e relativi successi; un fattore che, unito alla natura autenticamente maudit del suo carattere, portò Ciampi a terminare la sua vicenda umana senza il riconoscimento di critica e pubblico che probabilmente avrebbe meritato. Un cantautore venuto dal mare, che mantenne con la sua Livorno un rapporto quasi materno, segnato da malinconie, ritorni e cadute: ferite che seppe sfruttare per incidere nella storia della canzone italiana alcune delle liriche più toccanti e originali di sempre.

Livorno, il mare, la vita da girovago

Nato a Livorno nel 1934, Piero Ciampi fin da subito vede simbolicamente accostata la sua figura a quella di un altro grande artista labronico, Amedeo Modigliani. Il nostro nasce infatti in Via Roma, proprio davanti alla casa che aveva dato i natali al grande pittore ebreo. Le somiglianze non si sarebbero fermate qui: dopo un’infanzia segnata dal duro impatto della Seconda guerra mondiale, dei bombardamenti alleati e dello sfollamento, Ciampi manifesta rapidamente un carattere irrequieto, che lo porta a spostarsi spesso.

Dopo le scuole superiori a Milano, che non riesce a terminare, il futuro cantautore torna a Livorno, dove inizia l’attività musicale; per mantenersi lavora al porto, in una ditta di oli lubrificanti, fino a quando deve affrontare il servizio militare. Gian Franco Reverberi, suo commilitone e figura di spicco della scuola genovese, rimarrà affascinato dalla figura di Ciampi, che descrive come “un poeta che poteva suscitare sia odio che amore”.

Il cantautore livornese si sposta quindi a Genova e poi a Parigi, dove vive praticamente in condizioni di indigenza: scrive poesie e le canta poche ore dopo nei locali, per compensi miseri che a malapena bastano al sostentamento. Dopo un breve periodo in Svezia, durante il quale frequenta tra gli altri Luigi Tenco, fa ritorno in Italia. Qui dà il via ad un’attività musicale più inquadrata, pubblicando un disco come “Piero Litaliano” (nome d’arte che prende spunto dal suo nomignolo parigino), e riscuotendo un tiepido successo come autore.

Gli eccessi e la solitudine: un epilogo amaro

I discreti riscontri, e la stima di alcuni esponenti di spicco della scena musicale dell’epoca, permettono a Ciampi di continuare a gravitare nell’ambiente dello spettacolo. La seconda metà degli anni ’60 e la prima metà del decennio successivo sono però uno stillicidio di insuccessi, occasioni perse e colpi di testa. Ciampi si sposa due volte, ma i suoi matrimoni falliscono rapidamente; il cantautore si sposta senza soluzione di continuità, e trovando sempre più rifugio nell’alcolismo.

Si esibisce spesso ubriaco, terminando più volte i suoi concerti con risse e litigi con il pubblico; nel 1974 si rende irreperibile per un certo periodo, perdendo l’occasione di far incidere un album delle sue canzoni a Ornella Vanoni, che si era invaghita della poetica del livornese. L’ultima testimonianza della struggente bellezza dei versi di Ciampi è cristallizzata nella trasmissione televisiva “Piero Ciampi, no!”, piccola produzione Rai del 1978. Il cantautore muore in solitudine nel 1980 a Roma, per un cancro all’esofago, all’età di 45 anni.

Un’eredità preziosa

La vita sofferente di Piero Ciampi ci lascia in eredità l’ennesima testimonianza di talento non riconosciuto dai suoi contemporanei, ma anche, per nostra fortuna, canzoni di grande poesia. Il Ciampi maledetto è rappresentato da brani come “Il Vino” e “Ha tutte le carte in regola (per essere un artista)”, ma da molti altri brani emerge una tenerezza mai sopita, anzi resa grande da una vita di durezze ed eccessi. Le dichiarazioni d’amore per la donna amata (“L’amore è tutto qui”) e per i figli, lontani e irraggiungibili (“Sporca estate”) sono fatte di piccoli particolari di dolcezza struggente, di una malinconia insanabile ma meravigliosa.

Una nostalgia per un qualcosa di inafferrabile che si esprime al suo massimo grado nella canzone dedicata alla città natale, “Livorno”, e al suo mare che sembra una porta su infinite possibilità inesplorate: “Ho trovato una nave che salpava / ed ho chiesto dove andava: nel porto delle illusioni”.

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Fonte: Shutterstock
Fonte: Unsplash
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