8 Ago 15:33

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Viaggi & scoperte

Mitologia del mare: Scilla e Cariddi

Fin dagli albori, tra i flutti cobalto della mitologia del mare, non hanno nuotato solo divinità placide e benevole ma anche creature spaventose e mostri famelici che raccontano della paura ancestrale per ciò che non si può dominare.

Tra onde impetuose, gorghi profondi e scogli affilati, le storie hanno provato a dare corpo all’ignoto.

Nel Mediterraneo, uno dei miti che meglio incarna questi timori e allo stesso tempo il desiderio di superarli ed imporsi su l’imperscrutabilità della natura, è quello di Scilla e Cariddi, mostruose guardiane dello Stretto di Messina.

Isole Lèrins: un mondo a parte, a un soffio dalla costa

Le Isole Lérins sono due sorelle dai caratteri distinti: Sainte-Marguerite, la maggiore, ricca di natura e storia; Saint-Honorat, più piccola, avvolta da spiritualità e silenzio.

Sbarcati al piccolo molo si viene accolti dal frinire delle cicale, all’ombra di eucalipti secolari. Le isole sono prive di auto: qui ci si muove solo a piedi lungo sentieri sterrati che serpeggiano tra pini e macchia mediterranea, conducendo a cale appartate lambite da un mare cristallino.

Bastano pochi passi per immergersi in una dimensione senza tempo, dove ogni respiro sa di mare e resina e il tempo pare essersi fermato.

“A metà dello scoglio vi è un antro nebbioso, rivolto all’Erebo, verso occidente: qui volgi la concava nave, glorioso Odisseo. Vive là dentro Scilla, che latra in modo pauroso. La sua voce è quella di un cucciolo, ma essa è un orribile mostro. Di vederla nessuno godrebbe, neppure un dio. Ha dodici piedi, ancora informi, sei colli lunghissimi e su ciascuno una testa orrenda, con tre file di denti, numerosi e fitti, pieni di morte nera. Per metà si cela dentro la cava spelonca, ma sporge le teste fuori dall’orrido antro. E pesca, spiando bramosa intorno allo scoglio, foche, delfini e mostri anche più grandi, di quelli che nutre a migliaia il mare sonoro. Di là nessun marinaio riesce a scampare, illeso, con la sua nave: con ognuna delle sue teste essa afferra un uomo, strappandolo alla nave dalla prora azzurrina. Un altro scoglio, più basso, vedrai vicino, Odisseo; distano un tiro di freccia l’uno dall’altro. Un grande fico c’è sopra, pieno di foglie, sotto c’è la divina Cariddi che inghiotte l’acqua scura. Tre volte, durante il giorno, la inghiotte, e la rigetta tre volte, orrendamente. Non devi trovarti là, quando la inghiotte: neppure il dio Poseidone potrebbe sottrarti alla morte. Allo scoglio di Scilla tienti accostato e, rapido, spingi oltre la nave, perché è molto meglio piangere sei compagni piuttosto che piangerli tutti”.

(Omero, Odissea, a cura di Maria Grazia Ciani, 2000, Marsilio)

Scilla: la ninfa trasformata in mostro

Ninfa di rara bellezza, figlia di Forco e Crataeis (o secondo altre fonti di Poseidone e Anfitrite), Scilla viveva nei pressi di Zancle, sugli scogli che guardano verso lo Stretto. Dai suoi occhi chiari traspariva la luce del mare. Qui, un giorno, incrociò lo sguardo di Glauco, pescatore della Beozia divenuto divinità marina. L’amore del dio non fu ricambiato: lei restò terrorizzata dalla sua orrenda forma, metà uomo, metà pesce, e fuggì via, lasciandolo nello sconforto più profondo.

Glauco si rivolse allora a Circe, maga potente e ambigua, nella speranza di far innamorare la ninfa con un filtro. Circe però, che voleva il dio per sé, non ne tollerò il rifiuto e decise di vendicarsi contro la giovane. Versò allora una pozione nella fonte dove Scilla era solita immergersi: un supplizio alchemico che mutò i suoi lineamenti in quelli di una creatura spaventosa.

Cariddi: la divinità vorace delle correnti

Sul lato opposto dello Stretto, vive invece Cariddi, originariamente una naiade figlia di Poseidone e Gea. Famosa per la sua ingordigia, un giorno rubò e divorò i buoi di Eracle, peccato che non passò inosservato agli occhi di Zeus. Il dio del cielo la punì duramente: colpita da un fulmine, la giovane precipitò in mare e lì si trasformò in un mulinello insondabile.

Tre volte al giorno Cariddi inghiottiva le acque del mare, facendo sprofondare navi e marinai nelle sue fauci invisibili, per poi gettarle fuori con violenza, generando vortici e spume che assorbivano ogni cosa intorno.

Così, intrappolate di fronte l’una all’altra, Scilla e Cariddi divennero le crudeli guardiane dello Stretto di Messina. Da un lato la roccia spigolosa, dimora della prima; dall’altro il gorgo impetuoso, dominio della seconda.

Quel tratto di mare è un luogo unico: profondo meno di 5 km in mezzo, ma estremamente complesso da navigare. Correnti forti, maree impetuose, vortici naturali. Ecco come natura e mito si fondono: Scilla e Cariddi divengono allegorie di fenomeni reali, narrazioni che vogliono essere avvertimenti per chiunque navighi in quelle zone.

Scilla e Cariddi rappresentano il tentativo umano di dare un nome al caos, un volto alle correnti, un senso alla perdita. E anche la geografia, con i suoi scogli taglienti e i suoi vortici impetuosi, diventa un teatro di storia e leggenda.

Navigando oggi lo Stretto, tra traghetti moderni e barche di pescatori, si coglie ancora la duplice anima di questo luogo, modellato dai miti allo stesso modo che dalle onde.

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Fonte: Shutterstock
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Il Mediterraneo, dal latino “in mezzo alle terre”, è da sempre crocevia di storie, contaminazioni, scambi e miti. Omero l’ha definito la “strada liquida”, e la sua Odissea non è la sola narrazione a svolgersi tra le sue sponde. Numerosi sono i racconti, dal passato e contemporanei, che condividono lo stesso scenario.
ACQUA DELL’ELBA ti accompagna in un viaggio che si snoda fuori dai sentieri battuti e che si fa a grandi passi, lungo bianche spiagge silenziose, o per le strade di collina, ma anche restando fermi, seduti su uno scoglio, ammirando un tramonto.

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