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Arte & Cultura

Una cosa divertente che non farò mai più: un viaggio in crociera con David Foster Wallace

A Supposedly Fun Thing I’ll Never Do Again, tradotto in italiano con il titolo Una cosa divertente che non farò mai più, è un saggio narrativo di 100 pagine di David Foster Wallace edito da Minimum Fax.
La prima edizione italiana è stata pubblicata nel 1998, a un anno di distanza dall’uscita negli Stati Uniti. In copertina c’è una crociera in mezzo al mare che somiglia più a un parco divertimenti: l’ingresso del parco è una gigantesca porta a forma di sorriso.

Il sorriso è inquietante e l’immagine sintetizza l’essenza del libro e il punto di vista dell’autore.

“La Nadir di solito attracca al molo 21. Il «molo» parola che aveva evocato in me immagini di banchine, ormeggi e onde che sbattono, finisce invece per significare, come anche «aeroporto», una zona e non una cosa concreta. Non si vedono banchine, non si vede il mare, non c’è odore di pesce o di sodio nell’aria; invece ci sono, appena entriamo nella zona del nostro molo, un sacco di navi gigantesche che nascondono quasi tutto il cielo.

L’autore e la sua letteratura

David Foster Wallace è nato a Ithaca, in Illinois, nel 1962. È stato un autore prolifico, ha scritto tre romanzi (di cui uno incompiuto), numerosi racconti e nove saggi. La sua carriera è cominciata a soli venticinque anni con il romanzo La scopa del sistema nel quale già si distingue lo stile ironico e grottesco che caratterizza tutta la sua letteratura. Più complesso e noto è il suo secondo romanzo Infinite Jest, un tomo di più di mille pagine il cui titolo è tratto da un verso dell’Amleto che riflette sulla vanità delle cose umane: “Ahimè, povero Yorick! L’ho conosciuto, Orazio, un compagno di scherzi infiniti.” (Alas, poor Yorick! I knew him, Horatio, a fellow of infinite jest).

Le origini del saggio in crociera

La riflessione prosegue anche nel reportage che nel 1996 viene commissionato all’autore da Harper’s Magazine: la rivista chiede a Wallace di trascorrere una settimana a bordo della crociera extralusso MV Zenith della Celebrity Cruise. Sette notti su una nave nel mare caraibico a prendere appunti e raccontare quello che succede.

Il titolo con cui il pezzo uscì originariamente sulla rivista è Shipping Out, poi Wallace lo ripubblicò come A Supposedly Fun Thing I’ll Never Do Again.

Il linguaggio di Wallace

Il saggio inizia dalla fine dell’esperienza: l’autore ha concluso il suo viaggio in crociera e già dalle sue prime parole (come dal titolo) si evince il pensiero che Wallace si è fatto a bordo della nave.

“E allora oggi è sabato 18 marzo e sono seduto nel bar strapieno di gente dell’aeroporto di Fort Lauderdale, e dal momento in cui sono sceso dalla nave da crociera al momento in cui salirò sull’aereo per Chicago devono passare quattro ore che sto cercando di ammazzare facendo il punto su quella specie di puzzle ipnotico-sensoriale di tutte le cose che ho visto, sentito e fatto per il reportage che mi hanno commissionato.”

Leggendo il reportage non è difficile immaginare Wallace seduto a poppa o prua mentre guarda l’orizzonte e prende appunti sul suo taccuino. Di pagina in pagina seguiamo il racconto che è più un’indagine sociologica dei frequentatori della nave di lusso. Wallace attraverso il suo stile riconoscibilissimo fatto di umorismo, note a piè pagina, considerazioni personali miste al reportage narrativo, racconta un piccolo mondo fatto di capitalismo avanzato e divertimento organizzato.

L’esperienza della crociera diventa per l’autore un momento di analisi introspettiva e un’occasione per un ragionamento più ampio: la perfezione della nave è talmente eccessiva da diventare fittizia, irreale, illusoria.

Lo sguardo dell’autore

Il reportage procede per immagini e più si va avanti più diventa un’esilarante racconto di tutto quello che accade attorno all’autore: piscine giganti, ristoranti con una cucina deliziosa, campi da tennis, tavoli da ping pong, le spa, sono il teatro dove Wallace vede muovere i protagonisti di questa storia.

“Ho visto spiagge di zucchero e un’acqua di un blu limpidissimo. Ho visto un completo casual da uomo tutto rosso col bavero svasato. Ho sentito il profumo che ha l’olio abbronzante quando è spalmato su oltre dieci tonnellate di carne umana bollente […] Ho visto tramonti che sembravano disegnati al computer e una luna tropicale che assomigliava più a una specie di limone dalle dimensioni gigantesche sospeso in aria che alla cara vecchia luna di pietra degli Stati Uniti d’America che ero abituato a vedere. Ho partecipato (molto brevemente) a un trenino a ritmo di conga. […] Ho visto un parrucchino in testa a un ragazzo di tredici anni.”

Wallace non fa una semplice descrizione delle dinamiche a bordo ma va più a fondo e fa una disamina di quella che è l’esperienza della crociera guardando la classe borghese americana che si diverte tra relax, lusso sfrenato e feste programmate al dettaglio.

Un racconto comico e amaro

Una cosa divertente che non farò mai più è un saggio ironico e brillante che insieme alla leggerezza delle situazioni narrate da Wallace porta con sé una riflessione più profonda. Il risultato è un connubio di emozioni: il lettore si trova a ridere per le scene assurde e comiche ma al tempo stesso si interroga sulla frivolezza del bisogno di avere tutto anche in mezzo all’oceano. È proprio il contrasto di questi due registri che rende il reportage accattivante e sorprendente.

“Ho sentito cittadini americani maggiorenni e benestanti che chiedevano all’Ufficio Relazioni con gli Ospiti se per fare snorkeling c’è bisogno di bagnarsi, se il tiro al piattello si fa all’aperto, se l’equipaggio dorme a bordo e a che ora è previsto il Buffet di Mezzanotte. Ora conosco l’esatta differenza mixologica fra uno Slippery Nipple e un Fuzzy Navel. So cos’è un Coco Loco. Sono stato oggetto in una sola settimana di oltre 1500 sorrisi professionali. Mi sono scottato e spellato due volte. Ho fatto tiro al piattello sul mare. È abbastanza?”

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Fonte: Shutterstock
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