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GENTE DI MARE

Mattino e sera di Jon Fosse: la storia di un pescatore scritta dal Premio Nobel per la Letteratura

Il 5 ottobre 2023 Jon Fosse, per «la sua innovativa drammaturgia e la prosa che danno voce all’indicibile», è stato insignito del premio Nobel per la letteratura. Dal suo esordio con “Raudt, svart” (Rosso, nero) del 1983, Fosse si è dimostrato un artista prolifico e poliedrico, alternando la sua produzione tra opere teatrali, romanzi, raccolte di poesie, saggi e libri per bambini. Tra i temi più cari all’autore possiamo riscontrare la solitudine, la ricerca di Dio, la vita e la morte, il senso del tempo e dell’arte, temi universali che parlano dell’essere umano a ogni latitudine.

 

In Italia, Jon Fosse non ha trovato particolare fortuna, complice forse la sua prosa che certo non mira a ingraziarsi il lettore. Delle sue opere Fandango ha pubblicato Melancholia (2009) e Insonni (2011), mentre più recentemente La nave di Teseo ha tradotto L’altro nome. Settologia. Vol. 1-2 (2021), Io è un altro. Settologia. Vol. 3-5 (2023) e Mattino e sera (2019), su cui vorrei soffermarmi.

Mattino e sera – vita e morte sullo sfondo del mare

Mattino e sera è una novella divisa in due blocchi contrapposti. Assistiamo a un travaglio, poi a un trapasso. Un Johannes viene al mondo e uno l’abbandona, vita e morte si danno il passaggio di testimone in un’isola del Nord Europa, dove la narrazione procede come un ininterrotto flusso di coscienza dei protagonisti. In apertura incontriamo Olim, un pescatore che sta per diventare padre di un figlio maschio il cui nome sarà Johannes, poi il capitolo s’interrompe e un lungo salto temporale ci porta ad un Johannes anziano, pescatore in pensione che seguiamo in una sua apparente routine mattutina.

Mattino

Nel “Mattino” l’angoscia di Olim accompagna il travaglio della moglie: assistiamo al formarsi del suo pensiero in tempo reale, alle sue considerazioni sul mondo, su Dio, sul bene e sul male, sul nascituro. Considerazioni riassumibili in queste righe.

«mamma Marta urla di dolore, verrà alla luce in questo mondo freddo dove sarà solo, separato da Marta, separato da tutti gli altri, sarà solo sempre solo e poi, quando verrà il momento, quando sarà la sua ora, si dissolverà e si trasformerà in nulla e ritornerà là da dove viene, dal nulla e al nulla, questo è il corso della vita, per esseri umani, animali, uccelli, pesci, case, recipienti, per tutto quello che esiste, sì, pensa Olim»


Nel momento del parto la prosa di Fosse si fa più frammentata e l’autore prova a immedesimarsi con le percezioni del neonato appena fuori dal grembo materno, un azzardo stilistico concretizzato in onomatopee, ripetizioni e sensazioni. Più interessante è la seconda parte della novella, alla quale l’autore dedica maggiore spazio.

E sera

I pensieri che si susseguono appartengono ora a un Johannes anziano che vive in una casa non più accogliente da quando Erna, sua moglie, se n’è andata. Johannes si corazza dietro piccoli piaceri per vincere la solitudine: il caffè caldo appena sveglio, la fetta di pane imburrata e coperta di dolce formaggio di capra, la prima sigaretta con una generosa manciata di tabacco. Poi un giro a Vågen, due chiacchiere con sua figlia e un giro in barca, se il mare lo permette.


La giornata che seguiamo, però, si discosta leggermente da quelle abituali. Johannes si alza e “di colpo si sente così leggero come se in lui non ci fosse più nessun peso”, non prova dolore, né fatica, la sigaretta mattutina stranamente non gli va e quando esce di casa trova un’atmosfera rarefatta, non è ancora giorno e nemmeno notte. Tutto appare più grave e allo stesso tempo più leggero: stiamo assistendo al suo trapasso.

Il mare che accoglie, l’amo che non scende

Nel limbo tra la vita e l’aldilà Johannes trova Peter - il suo migliore amico morto qualche anno prima - e dall’incontro il tempo si sfalda e impasta con la vita passata di Johannes. Jon Fosse riesce a mescolare mirabilmente livelli temporali diversi e a farli coesistere con una narrazione sempre chiara e funzionale. Mentre Johannes e Peter stanno pescando, emerge vivida un’immagine: l’amo che il protagonista getta in mare si rifiuta di affondare nonostante ripetuti lanci. Si ferma a un metro di profondità, senza scendere.

Un pescatore respinto dallo stesso elemento vitale che ha fornito sostentamento a lui, alla sua famiglia, e all’intera comunità di quelle rive. Il mare, dopo tanto donare, è pronto ad accoglierlo: è qui che avviene il trapasso. Peter conduce Johannes al largo, in un posto che “non è nessun posto e per questo motivo non possiede neppure un nome”, un luogo “grande e tranquillo e vibrante e luminoso” dove non esistono le parole, non esistono i corpi e non esiste il dolore.

Lo stile e la mancanza del punto fermo

La novella rifiuta la normale costruzione sintattica. L’autore si divincola dalle norme classiche che regolano le narrazioni per parlarci dei due momenti più delicati dell’esistenza. Esistenza percepita come un flusso: un mare senza soluzione di continuità, onde che accompagnano i due pescatori nell’arco di un’esistenza che a malapena intravediamo.

In questo scorrere non ci sono strappi o interruzioni, tutto è un eterno e indistinto divenire, a una vita ne segue un’altra in un amalgama narrativo sobrio e privo di lirismo. Così è, insomma, e questa visione viene stilisticamente supportata dall’assenza del punto fermo. In tutto il libro manca l’elemento grammaticale che delimita lo spazio e il tempo, che sancisce l’inizio e decreta la fine, rendendo “Mattina e sera” un’unica, lunghissima, frase inconclusa. La frase ininterrotta dell’esistenza umana.

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Iurii Laimin - Fonte: Pexels
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Caner Demiroğlu - Fonte: Pexels
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