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Collaborazioni

Intervista a Paul Robino: la musica come modo di guardare il mondo

Paul Robino è uno di quegli artisti che raccontano ciò che li attraversa. Nelle sue composizioni convivono quiete e movimento, luce e profondità, una sensibilità che procede per intuizioni più che per intenzioni. La sua ricerca creativa nasce da un approccio puro, capace di trasformare un’immagine, un profumo o un silenzio in una vibrazione musicale.

L’intervista che segue diventa allora un varco: un modo per osservare da vicino come si forma uno sguardo sonoro, come prende vita una musica che non descrive il mondo, ma lo filtra, lo distilla, lo rende essenza. Paul Robino si muove così, senza enfasi, con una lucidità che arriva dritta al punto: trovare la nota che contiene un’emozione e lasciarla parlare, darle spazio.

Ciao Paolo, grazie per essere con noi in questa intervista. Cominciamo chiedendoti com’è nato il tuo incontro con I Sensi del Mare e cosa ti ha spinto a trasformare lo spirito delle sue pagine in musica?

Il mio incontro con I Sensi del Mare è stato del tutto inatteso. Il libro mi è arrivato tra le mani in un momento in cui avevo bisogno di rallentare: cercavo storie che non solo si leggessero, ma che si vivessero a trecentosessanta gradi. In ogni saggio e in ogni racconto ho percepito il mare come un personaggio vivo, capace di parlare attraverso immagini, silenzi e sensazioni. Quello che mi ha colpito di più è stata proprio questa scrittura emotiva, che sembra invitare chi legge a lasciarsi andare come quando si entra in acqua: prima con cautela, poi completamente. Le pagine mi suggerivano suoni: quello di un’onda lenta, di un soffio di vento, il rumore di passi sulla sabbia, o persino la quiete dopo una tempesta.

A un certo punto ho capito che quelle emozioni non volevano restare chiuse nel testo: chiedevano una traduzione musicale. Non volevo fare una colonna sonora, ma un dialogo. Così è nato il progetto: trasformare lo spirito del libro in brani musicali che raccontassero lo stato d’animo che quelle parole lasciavano addosso.

Mare, parole e musica si somigliano: scorrono, trasformano, avvolgono. Il mare e le parole c’erano, mancava la musica per amplificare le emozioni che solo natura e arte insieme sanno dare.

Quale dei cinque sensi credi che il mare risvegli più profondamente in te quando componi?

Direi l’udito, senza esitazioni.

Quando compongo, il mare diventa una sorta di metronomo naturale: il ritmo delle onde, mai identico eppure sempre riconoscibile, mi dà una struttura emotiva prima ancora che musicale. Non è solo il suono dell’acqua ma è il fruscio del vento che cambia direzione, i silenzi improvvisi, i richiami lontani, persino il crepitare della schiuma quando si ritira. Ogni piccolo rumore mi suggerisce un gesto sonoro: un arpeggio più morbido, una pausa, un crescendo.

Ma l’udito, in questo caso, non è soltanto fisico. È come se il mare avesse una voce interiore, una vibrazione che arriva a livello istintivo. Quando sono davanti all’acqua, le idee musicali non “arrivano”: si risvegliano, come se fossero già lì, nascoste nel fondo.

Gli altri sensi seguono, arricchiscono, colorano. Ma è l’udito che apre la porta, è da lì che comincia ogni brano.

Durante il SEIF hai portato sul palco emozioni profonde: c’è un momento preciso di quella serata che porterai con te?

Durante quella serata al SEIF ho attraversato molte emozioni, quasi come onde diverse che si susseguono: una gratitudine pura, quasi infantile prima di salire sul palco. Era la sensazione di essere nel posto giusto, al momento giusto, con persone pronte ad accogliere non solo la musica, ma anche il mondo interiore che portavo con me. Quella gratitudine era accompagnata da una intensa trepidazione: i primi attimi sul palco sono stati una miscela di entusiasmo e vulnerabilità. Non era paura: era la consapevolezza che tutto ciò che avrei suonato sarebbe stato un gesto di sincerità assoluta, senza filtri.

Quando ho iniziato a suonare, la piazza si è ristretta: sembrava di essere in un luogo piccolo, silenziosa, dove ogni suono diventava confidenza. Ho percepito un rapporto diretto, quasi privato, con il pubblico.

C’è stato un punto in cui mi sono perso completamente nella musica: non ricordavo più il confine tra ciò che stavo creando e ciò che sentivo vibrare intorno a me. Una forma di smarrimento che non spaventa, ma libera.

Verso la metà del concerto, poi, ho avvertito un calore particolare provenire dalla platea. Era come se la musica non fosse più “mia”, ma attraversasse tutti nello stesso istante. Una connessione rara, fatta di ascolto reciproco. All’ultima nota quel sollievo dolce che arriva quando hai dato tutto senza trattenere nulla. Come un respiro profondo dopo essere rimasto a lungo sott’acqua.

E poi il silenzio. Quel silenzio speciale, pieno di significati, in cui ho capito che qualcosa era arrivato, che aveva toccato davvero l’emotività del pubblico. Una meraviglia che non si programma e che non sempre accade.

Nel tuo processo creativo quanto contano i silenzi del mare rispetto ai suoi suoni?

Nel mio processo creativo, i silenzi del mare contano quanto e a volte più dei suoni. I suoni del mare sono immediati: ti raggiungono, ti avvolgono, hanno un ritmo che puoi riconoscere. Ma i silenzi… quelli sono lo spazio in cui l’immaginazione si dilata.

Il mare non è mai veramente muto, ma ci sono momenti in cui sembra trattenere il respiro: la pausa tra un’onda e l’altra, l’alba prima del primo fruscio del vento, o quel vuoto di rumore quando guardi l’orizzonte e tutto diventa interno, non esterno.

In quei silenzi nascono le intuizioni più profonde.

È lì che capisco se una melodia è sincera, se un’idea ha spazio per crescere, se una sensazione merita di diventare musica. Il silenzio del mare non è assenza: è un invito. I suoi suoni mi guidano, ma i suoi silenzi mi fanno ascoltare me stesso.

Per questo, nel mio processo creativo, il mare è una doppia voce: una che parla, e una che lascia spazio. E spesso è proprio da quest’ultima che nasce la musica più vera. E comunque quando penso al mare che diventa musica, non posso fermarmi solo ai suoni o ai silenzi: entrano in gioco i colori e soprattutto i profumi, che spesso sono la scintilla più segreta della mia creatività.

Il profumo del mare per esempio, è ancora più potente: non puoi afferrarlo, e proprio per questo lascia una traccia profonda. Per me l’odore salmastro è l’odore della libertà e della pelle ed è come una percussione leggera, il ritmo è una musica che cammina. il profumo del legno bagnato, dei pontili, delle barche: quello diventa spesso un suono caldo, quasi nostalgico, come un violoncello che parla sottovoce.

Poi c’è l’odore del vento, un profumo quasi invisibile: ha il suono dei sospiri musicali, delle pause piene, delle note che vibrano appena.

Quando il profumo si trasforma in musica

È un processo istintivo: non “penso” al profumo, lo ricordo.

E quel ricordo entra nella composizione come una sensazione pura.

C’è un’immagine dell’Isola d’Elba, tra quelle che hai vissuto, che ti ha ispirato in modo particolare?

Sì, c’è un’immagine dell’Isola d’Elba che ritorna spesso quando compongo, come un piccolo faro interiore.

È una scogliera al tramonto, in un punto in cui il mare sembra inghiottire la luce. Ricordo il calore delle rocce sotto le dita, il vento che cambiava direzione ogni pochi secondi, e quella linea d’orizzonte che non era più una linea, ma un confine che respirava. In quel momento, l’isola era un mosaico di colori: l’oro liquido che scivolava sull’acqua, il viola che iniziava a tingere il cielo, il blu profondo che cresceva dal basso come una melodia grave, e quel rosso tenue sulle cime delle colline, quasi un ultimo sospiro del giorno.

I colori dell’Elba hanno suscitato la sensazione di essere sospeso tra terra e mare, tra luce e buio, tra qualcosa che finiva e qualcosa che stava per nascere.

Lì ho capito che l’Elba non è solo un luogo: è un ritmo, un respiro, un modo diverso di percepire le cose. Quell’immagine è diventata una specie di accordo iniziale che ritorna in molte delle mie composizioni, come una memoria che non smette di chiedere di essere ascoltata.

Diventa un luogo dove il mare non è più davanti agli occhi, ma dietro le foglie, come un’eco che accompagna ogni passo.

Scritto da

Redazione

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ACQUA DELL’ELBA ti accompagna in un viaggio che si snoda fuori dai sentieri battuti e che si fa a grandi passi, lungo bianche spiagge silenziose, o per le strade di collina, ma anche restando fermi, seduti su uno scoglio, ammirando un tramonto.

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