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Gente di mare

Donne di mare: Surfare come una donna con Pauline Menczer

Come sono arrivata fin qui? Da dove ho iniziato? Come faccio a raccontare tutte le emozioni e i sacrifici, le cadute finanziarie e i picchi più vertiginosi? La risposta a questa domanda sembra vasta e profonda quanto l’oceano.”

La vita di Pauline Menczer somiglia alle onde che ha sempre cavalcato: imprevedibili, impetuose, difficili da domare. Ma in ogni salita e in ogni inciampo c’è stata una costante: la sua capacità di non demordere, di affrontare le avversità di petto, tuffarsi nell’ignoto per scoprire cosa c’era dall’altra parte. La sua esperienza ci ricorda che surfare “come una donna” è una potenza, non un limite. E che il mare, quando lo ascolti davvero, sa restituire tutto.

Gli inizi a Bondi Beach

Pauline Menczer nasce il 21 maggio 1970 e cresce a Bondi Beach, una delle spiagge più famose dell’Australia. La sua infanzia è complicata dalla morte del padre e dalla diagnosi, in giovane età, dell’artrite reumatoide, una condizione che le provocherà dolori, gonfiori e limitazioni fisiche per tutta la vita.

Spronata dalla madre, la cui massima più famosa è sempre stata: “Per ogni cosa negativa, ce n’è una positiva”, Pauline passa la maggior parte del tempo in acqua con i fratelli e le sorelle. Bondi Beach è il loro parco giochi, il loro salotto, la loro scuola. È dove impara tutto e il luogo dove sviluppa un rapporto simbiotico con le onde.

Menczer inizia con il surf molto presto, intorno ai dodici anni, sulla tavola rotta di suo fratello. Appena adolescente, per via del suo talento e della sua determinazione, è già conosciuta da tutti esperti di surf australiani.

Con uno stile elegante, un tempismo impeccabile e un approccio intrepido, nel 1988 vince i Campionati mondiali di surf amatoriale e poco dopo entra a far parte dei professionisti, concludendo l’anno al quinto posto nella classifica mondiale.

Da professionista a campionessa del mondo

Menczer trascorre la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 saldamente nella top 10 della classifica. Il surf femminile, a quel tempo, è sottopagato, poco riconosciuto e spesso ignorato dagli sponsor. Le atlete sono costrette a competere con budget minimi, in un ambiente dominato dagli uomini che ricevono premi più ricchi e maggiore attenzione mediatica. Nonostante le difficoltà, le sue prestazioni migliorano stagione dopo stagione. Menczer è costante, solida, affidabile: caratteristiche che, nel surf competitivo, fanno la differenza. Nel 1993, Pauline conquista il titolo di campionessa del mondo. È un traguardo storico: nessun surfista proveniente da Bondi Beach aveva mai raggiunto quel risultato.

Dopo aver vinto il titolo mondiale nel 1993, Menczer spera di suscitare l’interesse di qualche sponsor, ma ben presto si rende conto che comunque i soldi sono riservati ai vincitori dei campionati maschili. Oltre a questo, Menczer perde anche diverse opportunità commerciali a causa della sua sessualità. Quando Menczer va alle competizioni con la sua compagna, spesso deve fingere che sia la sua allenatrice per evitare discriminazioni e pregiudizi da parte dei giudici. Nonostante tutto, Menczer persevera ed eccelle e si ritira solo nel 2006 con 21 vittorie nel Championship Tour al suo attivo.

Dopo il mare, c’è sempre il mare

Da lì in poi si dedica alla condivisione della sua passione per il surf con gli altri. Partecipa attivamente agli eventi locali di surf nella sua città natale, Byron Bay, ed è coinvolta in programmi di surf per persone disabili e organizzazioni di surf indigene. Rimane dedita alla sua comunità e all’ambiente, guidando iniziative di volontariato e beneficenza per condividere con gli altri l’esperienza quasi magica del cavalcare le onde e il suo legame con l’oceano.

L’impegno di Menczer nel restituire qualcosa alla comunità del surf le fa guadagnare grande ammirazione da colleghi e non. Per lei, ormai, l’oceano non è solo sport, è uno stile di vita.

Girls Can’t Surf, Surf Like a Woman e una statua

Nel 2021 Pauline torna al centro dell’attenzione internazionale grazie al documentario “Girls Can’t Surf”, che racconta le difficoltà e le discriminazioni affrontate dalle surfiste professioniste negli anni ’80 e ’90. Pauline colpisce per la sua franchezza e per il modo con cui ha affrontato e racconta il suo percorso, spesso accidentato: con una certa dose di humour e un pragmatismo sorprendente.

È del 2024 invece il suo memoir, Surf Like a Woman. Il libro racconta le difficoltà economiche, la malattia cronica, i viaggi improvvisati, la mancanza di sponsor, ma anche la profondità di un amore assoluto per il mare.

È di quest’anno, di questo novembre, uno dei riconoscimenti più importanti della sua carriera. Sulla spiaggia di Bondi Beach, per celebrare l’impegno di Pauline e i suoi traguardi, per riconoscere il ruolo attuale e che ha avuto nella storia del surf, viene eretta una statua di bronzo a sua immagine e somiglianza. Posizionata proprio lì, dove ha iniziato, simboleggia una testimonianza di quanta strada ha fatto da quando era solo una ragazzina con una tavola spezzata.

Per Pauline però la statua non riguarda solo lei ma tutti: “Tutti quelli a cui è stato detto che non possono o non dovrebbero, quelli che lottano e quelli che hanno affrontato sfide e avversità, nella loro vita e nella loro salute. Voglio che sia fonte di ispirazione. Se anche solo una ragazzina passando di lì dirà “Se lei ce l’ha fatta, posso farcela anch’io” ne sarò entusiasta”.

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Fonte: Clara Scherer - Dupe
Fonte: Mckenzie Bergenback - Dupe
Fonte: Andrew Worung - Dupe
Fonte: Grace Mccuistion - Dupe
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