25 Set 17:07

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Arte & Cultura

Yunan e il potere della natura

Yunan è il secondo lungometraggio del regista Ameer Fakher Eldin ambientato per la gran parte su una Hallig, ovvero un’isola alluvionale tedesca al largo della costa del Mare del Nord, soggetta a periodiche inondazioni. Il titolo Yunan è la trasposizione araba del nome Giona, il profeta che discende nel ventre di una balena, un luogo che non è né terra né mare.

L’opera era in concorso alla 75ᵃ Berlinale, e fa parte della trilogia Homeland, un progetto che ha come tema il displacement. Il film d’esordio del regista, dal titolo The Stranger, fu presentato alle Giornate degli Autori della 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, vincendo il premio Edipo Re. Come nel suo primo lavoro, anche in Yunan, il sentimento che percorre tutto il film è quello dell’esilio e del desiderio del ritorno a casa.

La proiezione del regista nella storia

Ameer Fakher Eldin è nato a Kiev nel 1991 da genitori siriani delle alture del Golan e vive ora ad Amburgo.
Anche Munir, il protagonista del film, vive ad Amburgo con la sua compagna ed è uno scrittore siriano esiliato in Germania. Negli ultimi tempi soffre di fiato corto e si sottopone a un test ma la diagnosi non rivela nessun problema reale. Si tratta di un malessere diverso, una reazione del suo corpo legata a un altro tipo di oppressione. Nella casa dove vive ha l’ennesima crisi di respiro: Munir si sente soffocare e a provocargli questo malore è la sua condizione di esiliato in Europa, un luogo lontano da quella che è la sua casa e i suoi affetti.

La madre e la sorella vivono ancora nella terra natale, ma Munir sente che pian piano anche questo filo rosso tra lui e le sue origini sta per scomparire poiché la madre è affetta da demenza senile e i suoi ricordi si fanno sempre più inconsistenti. La madre infatti non ha quasi più memoria nemmeno del figlio. L’essere dimenticato gli provoca dolore e la paura che non resti più una testimonianza della sua vita in Siria.
Munir per aggrapparsi alle sue origini cerca un appiglio e chiede alla madre di raccontargli la stessa fiaba che gli raccontava da bambino.

Un racconto onirico

È la storia di un pastore sordomuto che vive isolato con la moglie, un gregge di pecore e vaga per il deserto. Anche la moglie sembra portare una malinconia nel petto che solo loro due conoscono. Ma la trama si ferma qui: è scarna perché la madre di Munir ricorda solo l’inizio e ha dimenticato il nome del pastore.

È una vicenda che resta in sospeso come la vita di Munir, è un’enigma che torna più volte nel film, dando un tono onirico alle sequenze in cui è raccontato. Viene ripetuto in modo circolare senza mai aggiungere un frammento di storia. Il racconto anacronistico si presenta come una breve parentesi del passato: dà spazio alla nostalgia del protagonista che ancora allunga la mano verso quello che è stato.

Il ritiro di Munir sull’isola di Langeness

A seguito delle ultime e frequenti crisi respiratorie, Munir segue il consiglio del medico e parte per un lungo riposo portando con sé una pistola, un’arma che suggerisce la sua idea di liberazione.

Con distacco e poco calore saluta Amburgo e la sua compagna. Non ha dubbi, non si volta indietro e raggiunge l’isola remota di Langeness nel Mare del Nord tra la Germania e la Danimarca. Ad accoglierlo con la stessa freddezza insita nel paesaggio dell’isola c’è Valeska, la proprietaria della pensione. La donna lo informa che non ci sono più stanze libere: quello che può fare è sistemarlo in una stanza fatiscente in fase di ristrutturazione e  separata dal resto della pensione.

I giorni passano e Munir diventa parte della piccola comunità di Langeness: seppur di poche parole il protagonista interagisce con Valeska, suo figlio Karl e gli altri abitanti dell’isola. Un legame invisibile unisce Valeska e Munir, tanto che la donna capisce il suo stato e lo invita a reagire diversamente:  “Hai mai provato a fare il contrario? Tutta quell’aria, alla fine, non serve.”

L’isola: personaggio del film

Il paesaggio è affascinante, lontano dal resto del mondo e suggestivo. Munir inizia a conoscere l’isola: vaga tra le distese di verde che contrastano con il gelo del mare dal quale l’isola è circondata. L’orizzonte è acqua e non c’è via di scampo. Gli abitanti sono pochi, perlopiù uomini, mucche al pascolo, pecore e oche.
 
Ciclicamente le Hallig vengono inghiottite dall’alta marea: scompaiono per poi riapparire, e delle cinquanta che si pensava esistessero nel Medioevo ne restano ora dieci sopravvissute alle maree. Il poeta tedesco Theodor Storm del XIX secolo le aveva definite “sogni fluttuanti” perché vanno e vengono. Sono luoghi che trasmettono serenità quanto inquietudine per il pericolo a cui sono esposte ogni giorno.

Poiché lo stesso Munir è inquieto, Langeness sembra il posto perfetto in cui il protagonista può vivere questa fase della sua vita. L’isola diventa un personaggio del film con le sue tre fasi: immersione, perdita e ritorno. Queste sono il leitmotiv del film e riflettono la condizione e il turbamento del protagonista.

L’arrivo dell’inondazione e la rinascita dell’isola e di Munir

Le previsioni meteorologiche segnalano l’arrivo di un’inondazione preceduta da forti raffiche di vento e temporali. Mentre tutti si preoccupano, cercano un rifugio o lasciano l’isola, Munir accoglie l’evento che sta per arrivare come se fosse un segno. Le onde si alzano e il mare si prende tutta la terra. Quando l’acqua si ritira, sull’isola resta una balena spiaggiata: metafora dell’estraniamento e della non appartenenza al luogo.

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Fonte: Shutterstock

Trailer ufficiale

Locandina ufficiale del film
Fonte: Shutterstock
Fonte: Shutterstock
Quanti segreti custodisce, il mare. Ha accolto senza giudizio le esperienze più disparate: dalle feste in spiaggia, agli amori proibiti; ha visto navi salpare e non ritornare, ha permesso il contatto e il passaggio di persone, oggetti, imperi. E poi ha custodito parole. Parole che non avevano più un luogo, un tempo, e alle volte nemmeno un destinatario.
ACQUA DELL’ELBA ti accompagna in un viaggio che si snoda fuori dai sentieri battuti e che si fa a grandi passi, lungo bianche spiagge silenziose, o per le strade di collina, ma anche restando fermi, seduti su uno scoglio, ammirando un tramonto.

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